EPIGENETICA: oltre il DNA

Le ricerche all’avanguardia in campo epigenetico mostrano come la nostra salute non sia frutto solo del nostro DNA.

Negli ultimi anni, i mass media, traducendo spesso a sproposito le scoperte della genetica e delle scienze afferenti, ci hanno abituato a credere che i geni determinino il nostro destino ultimo, le malattie cui andiamo incontro, la nostra storia personale, il carattere, le inclinazioni, il livello intellettivo e creativo e molto altro. Del pari, ci hanno indotto a credere che questi “ dati” siano immutabili, inevitabili e fissati una volta per tutte.

Dal punto di vista medico, è su questa base che si assiste ultimamente a un proliferare sempre più drammatico di analisi cliniche e screening diagnostici di ogni tipo, nell’intento di intervenire il più precocemente possibile sulla realtà biologica (con terapie geniche mirate), come se questa non si relazionasse invece, e continuamente, con la dimensione culturale e ambientale. Relazione che origina importanti influenze reciproche che ancora vengono per la maggior parte ignorate. Un esempio tra i più estremi di questa corsa alla medicalizzazione in funzione “antigenetica” è l’asportazione chirurgica e preventiva dei seni, in presenza di determinate caratteristiche genetiche.

Waddington e la scoperta dell’epigenetica.

Eppure oggi la ricerca scientifica più avanzata smentisce il modello biomedico riduzionista e meccanicista. Questo modello è fallito perché basato sull’illusione di poter semplificare e ridurre a semplici catene causali la complessità del vivente e della rete di relazioni che lo costituiscono. Il primo scienziato giunto a queste riflessioni e ricerche in tempi moderni è stato il biologo Conrad Waddington, che nel 1942 ha coniato il termine “epigenetica”, da lui definita come << la banca della biologia che studia le interazioni causali fra geni e il loro prodotto cellulare e pone in essere il fenotipo>>.

Se genotipo è il complesso dei caratteri genetici di un individuo, cioè di quelli che esso è capace di trasmettere ai suoi discendenti, con fenotipo si intende il complesso dei caratteri fisici esterni di un individuo, risultato del suo patrimonio genetico ma anche i fattori ambientali. Oggi l’epigenetica sulla base degli studi più recenti, si potrebbe definire come quella branca degli studi genetici che si occupa dei cambiamenti dell’espressione genica non causata da mutazioni genetiche e che possono essere ereditabili(1).

Si tratta, quindi, di fenomeni, anche ereditabili, in cui il fenotipo è dato non dal genotipo ereditato in sé, ma dalla sovrapposizione a questo di “un’impronta” che ne influenza il comportamento funzionale. Un segnale epigenetico è un cambiamento ereditabile che non altera la sequenza nucleotidica di un gene, ma la sua attività. Sappiamo oggi che le condizioni ambientali in cui viviamo sono in grado di alterare e modificare il grado di attività.

Sappiamo oggi che le condizioni ambientali in cui viviamo sono in grado di alterare e modificare l’informazione ivi contenuta, ossia le sequenze di DNA. Studiare i meccanismi molecolari con cui l’ambiente attiva questi cambiamenti si sta rivelando una vera e propria miniera di informazioni biologiche sul funzionamento del nostro organismo e sulla patogenesi delle malattie e la loro inversione.

Come già ampiamente documentato dal Dott. Ernesto Burgio, le patologie del neuro-sviluppo e neurodegenerative, insieme alle malattie endocrino-metaboliche (obesità e diabete tipo II) rappresentano il capitolo più significativo di quella che è stata definita Transizione epidemiologica del XXI secolo.
Negli ultimi anni la ricerca nel campo della biologia molecolare e, in particolare, dell’epigenetica, ha delineato un nuovo modello di genoma dinamico e interattivo con l’ambiente, inteso come fonte di informazioni e sollecitazioni in grado di indurre modifiche fenotipiche reattive e adattative, soprattutto nelle prime fasi della vita (in ragione della maggior plasticità delle cellule poco differenziate e degli organismi in via di sviluppo).

Su queste basi si va delineando un nuovo modello patogenetico per le malattie croniche e in particolare per i disturbi del neurosviluppo, che insorgerebbero come conseguenza di alterazioni della programmazione epigenetica adattativa (e addirittura predittiva) a situazioni ambientali che l’embrione/feto percepisce come non favorevoli alla realizzazione del proprio programma genetico (fetal programming). È la tematica della teoria dell’Origine fetale delle malattie (DOHaD – Developmental Origins of Health and Diseases).
Appare evidente come il modello patogenetico, che impone una riflessione sulle strategie di prevenzione, mira alla riduzione dell’esposizione a fattori di  rischio durante la vita embrio-fetale e nella primissima infanzia.

In pratica, ci troviamo di fronte a un cambiamento adattivo cui le cellule vanno incontro quando sono stimolate adeguatamente, nel bene e nel male. Le implicazioni di tutto ciò sono enormi anche a livello cognitivo e cerebrale. Come riporta anche Francesco Bottaccioli, esperto del tema, <> (2).

 

Le Conquiste dell’epigenetica nella vita quotidiana

Le nozioni importanti da tenere a mente per il lettore comune sono essenzialmente due:

  1. L’Ambiente– ossia il nostro stile di vita, L’alimentazione, il rapporto e le relazioni personali, lo stress cronico, l’attività fisica, il lavoro, il contatto con sostanze presenti nell’ambiente ecc- determina in modo consistente il nostro stato di salute o di malattia;
  1. Se i geni in sé non si possono modificare, non siamo però schiavi di un determinismo genetico, come si presupponeva fino a poco tempo fa, dato che è possibile cambiare l’espressione genica, grazie appunto a determinate scelte di vita che agiscono nel medio-breve termine.

 

I DNA non è più il nostro destino.
I meccanismi di regolazione epigenetica identificati al momento sono tre: la metilazione del DNA ( l’aggiunta di un gruppo metilico sui residui di citosina), il rimodellamento della cromatina tramite la marcatura degli istoni; l’azione dei microRNA. Ma tutta la materia è in continuo divenire.

Il DNA non è quindi più un destino, ma noi, con le nostre scelte, ne siamo in una qualche maniera i protagonisti e possiamo in molti casi intervenire quando le cose non vanno come dovrebbero.

Secondo David Perlmutter, noto medico neurologo, autore e ricercatore statunitense che si occupa di salute del cervello, più del 70% dei geni che codificano per la salute e la longevità sono sotto controllo epigenetico (3). Ciò significa che attraverso le nostre scelte possiamo costruire una notevole capacità di controllo della trascrizione di quei geni che sono addetti al mantenimento della salute, al proseguimento della longevità e alla migliore performance del cervello. Ed è importante notare come questa possibilità riguarda anche le future madri in gravidanza che possono, con le loro preferenze alimentari, psicologiche e ambientali, originare sistemi immunitari più forti e caratteristiche vitali nei loro nascituri.

Epigenoma e patologie multifattoriali

Teniamo presente che la maggior parte delle malattie multifattoriali e caratterizzate da qualsiasi causa che non segue la patogenesi delle leggi di Mendel è o potrebbe essere indotta da alterazioni dell’epigenoma (l’insieme delle modificazioni epigenetiche di un organismo). Fanno parte di queste patologie malattie croniche e degenerative tra le più importanti presenti nelle nostre società industrializzate e cioè il cancro, le malattie neurodegenerative e tutte le malattie associate all’invecchiamento. Come abbiamo detto, siccome le modificazioni epigenetiche, contrariamente alle mutazioni genetiche, non coinvolgono la sequenza nucleotidica del DNA, sono per la loro natura reversibili. Intervenendo con “farmaci epigenetici” o con induzioni di cambiamenti ambientali e possibile trattare le patologie conseguenti, guarirle o prevenirle. Occorre tuttavia sottolineare il fatto che l’epigenetica sta portando alla consapevolezza collettiva il fatto che alcuni inquinanti presenti nel mondo a noi circostante sono tossici in maniera notevole anche a dosi solitamente considerate sopportabili per l’organismo. Se la tossicità appariva tollerabile rispetto a tempistiche limitate al medio-breve periodo, il ragionamento non vale nel lungo termine, oltre il quale tali accumuli possono scatenare mutamenti epigenetici in grado di dare l’avvio a patologie gravi. Riflessioni analoghe si possono fare rispetto agli squilibri nutrizionali moderati, innocui nel breve periodo, oppure alla presenza di deficit o sovradosaggi di micro e macronutrienti, che però nel lungo periodo sono causa del pari di modificazioni epigenetiche con conseguenze deleterie sulla salute e l’invecchiamento (4).

Lo stress come segno epigenetico

Di fenomeni che, si è verificato, sono in grado di imprimere un marchio sul genoma senza mutare il DNA ce ne sono molti. Lo stress ad esempio è uno di questi “segni”che istruisce le cellule su come e quando leggere determinati geni, regolando così la loro espressione. Ciò che siamo e diventiamo nel tempo dipende anche dalla maniera in cui l’informazione contenuta nel DNA si presta a essere letta dalle cellule. Ci ricorda Bottaccioli che <>(5). Ma le cose viaggiano anche in senso inverso: è stato dimostrato in studi su animali che la pura presenza di oggetti e giochi nella gabbia provoca l’attivazione del gene BDNF (Brainderived neurotrophic factor, fattore neurotrofico cerebrale) responsabile della maturazione neuronale attraverso meccanismi epigenetici ( in assoluta assenza di qualsiasi contatto con agenti chimico –fisici esterni!). Con l’epigenetica viene rimossa l’ultima , barriera che ostacolava la compressione del rapporto tre eventi mentali consci e inconsci, vita e reazioni cellulari con effetti sull’assetto recettoriale cerebrale di ormoni fondamentali (come il cortisolo) fino alla produzione di molecole essenziali alla sana attività degli organi, cervello compreso.

Epigenetica in pratica

Se dovessimo elencare le scelte migliori per intervenire sull’espressione genica possiamo senz’altro ricordare le tecniche di gestione dello stress, come la meditazione, lo yoga e il tai chi (6).
Nel campo dell’alimentazione le restrizioni calorica o l’integrazione nutraceutica, la modulazione di ossigeno, vitamine, minerali, omega-3 hanno dato risultati soddisfacenti (7), così come il ricorso a cibi o sostanze specifiche come la curcumina, il resveratrolo e il tè verde che possono addirittura contribuire alla prevenzione del cancro inibendo l’attivazione degli enzimi metilanti DNMT ( una famiglia di enzimi implicata nella carcinogenesi) (8) . Al contrario, invece va detto che gli zuccheri e certi tipi di grassi danno luogo alla produzione di sostanze relative alla proliferazione cellulare e all’infiammazione, mentre una dieta troppo ricca di carni e formaggi (metionina) può portare a una ipermetilazione di alcune aree del cervello con un aggravamento della schizofrenia o delle psicosi; queste malattie invece possono trarre giovamento dall’utilizzo dei broccoli che contengono inibitori naturali che possono contrastare l’ipermetilazione. Infine ricordiamoci dell’esercizio fisico, vero grande assente delle nostre vite artificializzate. L’essere umano non è stato certamente “progettato” per rimanere seduto, sdraiato o inattivo costantemente. È dimostrato che l’attività fisica regolare assicura una minor perdita della metilazione la quale è correlata all’età. Attraverso il movimento, quindi, si favorisce il maggior controllo di un gene basilare nella produzione di citochine, le quali hanno effetti infiammatori diretti e di richiamo nella costruzione della più generale risposta infiammatoria. Le ripercussioni sullo stato di salute sono notevoli, dato che è ormai noto come il problema più importante dell’invecchiamento sia la gestione dell’infiammazione (9). Di fronte a queste nuove conoscenze, è chiaro che la responsabilità degli operatori sanitari diventa notevole, dato che essi possono suggerire ai propri pazienti il ricorso a norme comportamentali e alimentari specifiche, evitando spesso il ricorso alle cure farmacologiche e i relativi effetti indesiderati, spesso consistenti, che derivano. Del resto queste informazioni devono spingere anche i pazienti a farsi carico maggiormente della propria vita optando per scelte e abitudini sane e coerenti con un buono stato di salute. (fonte rivista Scienza e Conoscenza)

NOTE

(1) Sweatt, J.D., Meaney, M.J., Nestler, E.J., Akbarian, S., Epigenetic regulation in the nervous system, Academic Press, Eslsevier, Amsterdam, 2013, cap.1.
(2) Bottaccioli, Francesco, Epigenetica e psiconeuroendocrinoimmunologia, Edra-LSWR, Milano, 2015, p. 49
(3) Perlmutter, David, Epigenetics as fuel for brain health, in << Alternative and Complementary Therapies>> 1 febbraio 2013, p. 1.
(4) Fuso, Andrea, “Aging and disease: the epigenetic bridge” in Tollefsbol, Trygve (a cura di), Epigenetics in human disease, vol. 6, Academic Press, 2018, capitolo 26, pp. 519-544.
(5) Bottaccioli, Francesco, Epigenetica e psiconeuroendocrinoimmunologia, cit., p. 68.
(6) Kaliman, P. e ., Rapid change in histone deacetylases and inflammatory gene expression in expert meditators, in << Psychoneuroendocrinology>>, vol. 40, febbraio 2014, pp. 96-107.
(7) Alam, S.E. et al., Nutritional aspects of epigenetics inheritance, in << Can. J. Phsysiol. Pharmacol .>>, vol. 90, 2012, pp. 989-994; Dauncey, M,J., Genomic and epigenomic insights into nutrition and brain disorders, in << Nutrients>>, vol. 5, 2013, pp. 887-914.
(8) Mirza, S. et al., Expression of DNA methyltransferases in breast cancer patients and to analyze effect of natural campounds on DNA methyltransferases and associated proteins, in << J. Breast Cancer>>, vol. 16, 2013, pp. 23-31
(9) Cevenini, E., Ostan, R., Bucci, L., Monti, D., Franceschi, C., “Stress , invecchiamento immunitario e infiammazione”, in Bottaccioli, F. (a cura di) , Stress e vita. La scienza dello stress e la scienza della salute alla luce della psiconeuroendocrinoimmunologia, Tecniche Nuove, Milano, 2012.


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